Giacomo Costa
Motociclista e alpinista, fin da subito abbandona la fotografia tradizionale per per dedicarsi alle tecnologie 3D, le stesse usate per gli effetti speciali del cinema, attratto dalla possibilità di intervenire sulla realtà fotografata e dal piacere di manipolare le immagini per tirare fuori sempre nuovi punti di vista. Le sue opere sono immagini e scenari fotorealistici ma inesistenti, e di fatto la sua ricerca è a metà tra la pittura e la fotografia. La sua arte parte dall’angoscia di fronte ai disastri naturali, all’inquinamento, l’ecocidio, il devastante impatto ambientale dello sviluppo insostenibile, lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali. Come dice Norman Foster di Costa, “…sono come le rovine di una civiltà perduta, che potrebbe essere la nostra. Grazie a questa potente visione, ci ricordano soprattutto la fragilità del nostro mondo artefatto e i presupposti civici che lo hanno sostenuto fino ad oggi”.
E’ in orbita stellare dal 1999, quando partecipa alla VIII Biennale Internazionale di Fotografia di Torino e alla XIII Quadriennale di Roma, e da lì al Contemporary Art Center di New Orleans. Nel 2006 inizia a collaborare con la galleria lussemburghese Clairefontaine e nello stesso anno incontra Elena Ochoa Foster che pubblica i suoi lavori sulla rivista CPhoto Magazine e successivamente lo invita alla X Biennale di Venezia dell’architettura. Il Centre Pompidou espone un suo lavoro, che è entrato a far parte della collezione permanente del museo, e nel 2009 esce pubblicato da Damiani il volume The Chronicles of Time che raccoglie tutti i suoi lavori dal 1996 al 2008. Il volume è introdotto da un testo dell’archistar Norman Foster e del critico italiano Luca Beatrice. Tra i musei che posseggono sue opere, il CACNO (Contemporary Arts Center of New Orleans), il Contemporary Arts Museum, Houston, il Centre Pompidou di Parigi, e il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci.